Non credo a quei treni che passano una volta sola. Mi sembra un grande inganno. Piuttosto credo alle stazioni, ai risciò e alle bici, ai tram, ai traghetti, agli aerei, ai passaggi in macchina. Credo ai miei piedi, alle moto, ai pullman e persino al teletrasporto. Non credo esista un solo e imperdibile treno. O una sola e imperdibile meta. Credo invece alla voglia di andare. E a una direzione buona per il cuore.
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Intervista rilasciata al portale UISP CICLISMO
Spesso pensiamo alla mente ed al corpo come due entità separate, in realtà esse costituiscono due parti di uno stesso organismo vivente che costantemente si influenzano fra di loro. Di respirazione, in senso fisico, abbiamo trattato con la fisioterapista ma sappiamo che la gestione della questione non si esaurisce qui.
Dottoressa, siamo di nuovo (metaforicamente) sul lettino del terapeuta, la volta scorsa abbiamo trattato di paura ed ora parliamo di respiro giusto ? "Tutti noi sappiamo che quando abbiamo un dolore o una malattia fisica la nostra mente ne risenta immediatamente: l’umore si abbassa, i livelli di ansia e nervosismo si innalzano e magari vengono a galla grandi e piccole vulnerabilità che ci portiamo dentro. Viceversa, quando ci troviamo a vivere un momento non troppo felice della nostra esistenza, in cui una crisi relazionale o sul lavoro ci disturba, una fobia o una paura ci vengono a trovare, spesso anche il corpo ne risente: ci sentiamo più fiacchi, spossati, talvolta diventa difficile concentrarsi. La mente si offusca e laddove con le parole non riusciamo ad esprimere a pieno il nostro disagio compaiono anche spiacevoli sintomi psicosomatici: cefalee, dermatiti, gastriti, coliti e così via." Situazione di stress, dati i tempi, è proprio il tema ma il respiro ? "Il respiro, in questa influenza reciproca fra mente e corpo, svolge un ruolo fondamentale perché è in grado di comunicarci non solo lo stato di salute fisica, ma anche l’atmosfera psicologica che stiamo sperimentando: se proviamo dolore si blocca, se abbiamo paura o siamo agitati s'affanna, se qualcosa ci fa arrabbiare diventa corto e più frequente." Come tutto questo può essere interessante per il mondo dello sport? "E’risaputo che lo stato mentale di un sportivo influenzi notevolmente le sue performance, fino a decretarne il raggiungimento di importanti obiettivi, sia in senso favorevole che sfavorevole. Anche un atleta di grande talento fisico, se non è in grado di padroneggiare le proprie emozioni e di gestire i propri pensieri, lasciandosi sopraffare dal panico e soccombendo alla pressione delle aspettative sociali, non fa altro che cadere in un circolo vizioso in cui ogni nuovo fallimento lo allontana sempre più dalla possibilità di esprimersi al meglio nella propria disciplina sportiva. La capacità di praticare una presenza mentale e di sperimentare uno stato di calma durante gli allenamenti o prima di una gara non solo è possibile, ma diviene auspicabile dunque per tutti coloro che hanno a cuore il proprio agonismo o passione sportiva." Che si può fare ? "Esistono diverse tecniche e discipline che attraverso il respiro ci permettono di influenzare il nostro stato mentale, di sperimentare una maggiore conoscenza di noi stessi, delle nostre risorse e dei nostri limiti e di approdare quindi ad uno stato di maggiore calma e quiete. Fra le altre numerose, in questa sede accennerò brevemente al Training Autogeno e alla Mindfulness.
Se noi fossimo una barca dunque, il nostro respiro sarebbe la nostra àncora che ci tiene saldi anche in piena tempesta, Allenarsi ad una respirazione consapevole ci permette di non essere in balia delle onde del mondo interno (emozioni, pensieri, sentimenti) o del mondo esterno (eventi critici) e di ritornare con mente quieta al nostro timone, controllando solo ciò che è possibile e lasciando andare il resto, consapevoli che siamo vivi adesso, ad ogni respiro." Grazie Dottoressa Monti, possiamo concludere citando Cicerone "Dum spiro, spero" (finchè respiro ho speranza). "Un piacere aver contribuito" Per la Redazione UISP Ciclismo - (RB) CONOSCERE I PROPRI FIGLI ATTRAVERSO LE EMOZIONI Come costruire con loro una storia d'amore nutriente5/6/2020
Molto spesso siamo portati a sottovalutare l’importanza delle emozioni, eppure ne facciamo tutti esperienza fin da quando siamo bambini. Esse svolgono infatti una funzione biologica indispensabile alla nostra sopravvivenza: ci segnalano un bisogno del nostro organismo e mobilitano l’energia vitale necessaria alla sua soddisfazione.
La paura ci dice ad esempio che stiamo correndo un pericolo e che dobbiamo metterci in salvo, la rabbia ci informa che viviamo una certa situazione come scomoda o minacciosa e che quindi occorre cambiarla o difenderci, la tristezza ci parla della perdita di qualcosa che amavamo, la gioia e la felicità di un bisogno che è stato soddisfatto o di un desiderio realizzato. Se per un adulto è dunque importante prestare attenzione al proprio mondo emotivo, per i bambini diventa fondamentale che i suoi genitori si interessino a ciò che provano: i più piccoli infatti si relazionano agli altri e fanno conoscenza prevalentemente attraverso il proprio sentire. Quando un bambino ha paura, con ogni probabilità sente di non essere del tutto al sicuro. Se il pericolo percepito è un animale feroce o un mostro invisibile, poco importa! Cosa succede dunque se un genitore nega quella emozione frettolosamente, con frasi del tipo “non devi avere paura”, “non essere fifone” e così via? Quello che può accadere, soprattutto se si tratta di una risposta abituale e ripetitiva, è che il bambino non imparerà certo a proteggersi come gli suggerisce la sua emozione. Piuttosto inizierà a dubitare di ciò che sente, o peggio ancora a diffidare della disponibilità o capacità degli adulti di aiutarlo a mettersi in salvo. Le emozioni non le scegliamo, si manifestano. Non ha senso dunque chiedere ad un bambino di non sentire ciò che sente – non avere paura, non essere arrabbiato, non essere triste – semplicemente perché è fuori dalle sue possibilità. Ciò che si può fare semmai è aiutarlo a riconoscerle, nominarle e a soddisfare i bisogni e i desideri che si celano dietro. Nel caso della paura, il genitore può rassicurare il bambino con parole semplici, meglio se accompagnate da un contatto fisico, ad esempio: “mi sembri spaventato, io resto qui con te fino a quando insieme non troviamo il modo di rendere questo mostro meno pericoloso”. Questo discorso vale ovviamente anche per tutte quelle espressioni che sono connesse alle emozioni: chiedere ad un bambino di non piangere significa insegnargli che il pianto non è ben accetto nella sua famiglia, portandolo a credere che c’è qualcosa che non va in lui. Domandargli cosa sta succedendo apre invece una porta di comprensione e permette un importante arricchimento della relazione genitore-figlio: il bambino imparerà che può essere se stesso, senza il bisogno di nascondersi o vergognarsi per come si sente. Le emozioni non sono né buone né cattive quindi, ma ci parlano di ciò che accade dentro di noi. E’ importante dunque accogliere anche quelle più “scomode”, socialmente considerate inopportune come la rabbia, che è invece – come già accennato – un vissuto importante da ascoltare in quanto ci aiuta a difenderci quando ci sentiamo invasi o feriti, o semplicemente ci dice che non riusciamo ad ottenere ciò che desideriamo. I genitori posso insegnare ai bambini come gestirla piuttosto che stigmatizzarla, aiutandoli ad esprimerla con le parole piuttosto che rompendo oggetti o picchiando. Le emozioni, infatti, non possono restare per molto tempo taciute perché altrimenti rischiano di trasformarsi presto in sintomi, più o meno importanti, che avranno il compito di urlare quel disagio che il bambino non ha potuto invece esprimere apertamente. Se un genitore fa attenzione al mondo interiore del proprio figlio e se ne prende cura è in grado di lanciargli invece un messaggio potentissimo: io ti vedo, mi interessa comprendere come ti senti e desidero starti vicino! A chi non farebbe piacere sentire queste parole pronunciate dalle persone che ama? Spesso però non è per niente facile soffermarsi su come si sentono gli altri: può essere davvero complicato, ad esempio, mantenere la calma e la lucidità davanti ad un figlio che sbatte i piedi o ha un comportamento che non ci piace! Per questa ragione è molto importante che dapprima i genitori imparino a riconoscere le proprie emozioni, senza giudicarle ed esprimendole al meglio che possono, specialmente nella relazione coi più piccoli. Si può parlare dunque di come ci sentiamo coi nostri figli, purché si cerchino i modi e le parole più adatte ad ogni età e non li si inondi di vissuti troppo pesanti (una forte angoscia, una grande ira incontrollata, …). I bimbi infatti sono come spugne: assorbono l’atmosfera emotiva in cui sono immersi e imparano ad esprimersi osservando le persone che amano. Anche per gli adulti, dunque, prestare attenzione al proprio sentire con gentilezza amorevole rimane il primo fondamentale passo per costruire una relazione d’amore nutriente, con se stessi prima e con i propri figli poi. (Articolo pubblicato su www.leccebimbi.it/, illustrazione di Freepik) |
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June 2020
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